12 maggio 2019 - 4ª di PASQUA
Atti 13,14.43-52 / Apocalisse 7,9.14b-17 / Giovanni 10,27-30
Io do loro la vita eterna (Gv 10,28)
Gesù è il vero “pastore”, sa stabilire un rapporto autentico di conoscenza con ogni uomo; lo sa guidare alla “vita eterna”, ad una vita piena qui e dopo (vangelo).
Gesù applica a sé quell’immagine di pastore che la mentalità ebraica riferiva a Dio. In effetti la sua unione con Dio è tale, e tale la corrispondenza delle sue opere, che può giustamente dire “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Gesù stabilisce con ciascuno di noi un effettivo rapporto di conoscenza, cioè una piena solidarietà di vita, di amore e di dedizione. A differenza dei capi umani, Gesù risorto porta alla piena realizzazione personale e comunitaria, dona la “vita eterna”.
In che modo Gesù ci dona tale vita? Gesù ce la dona facendo quello che fa una persona quando vuole destare l’amore in un altro: amandolo per primo, incondizionatamente. Possiamo pensare all’ultima cena, quando Lui si è chinato davanti a ciascuno dei suoi discepoli e ha lavato loro i piedi e quando ha donato tutto se stesso nel pane “spezzato” e nel vino “versato per voi”. E poco dopo ha perdonato, scusandoli, i suoi uccisori. Egli ha quindi vissuto per primo, oltre che insegnato, che solo l’amore di servizio e il perdono salvano l’uomo. E quando nel nome e con la forza di Gesù viviamo nell’amore, nel servizio, nell’accoglienza, nel perdono e nella condivisione, sentiamo che il nostro modo di vivere e di agire quotidiano è trasformato e ci dona una pienezza unica di vita, la vita eterna.
QUANDO IL RANCORE NON COINCIDE CON L’AMORE
In occasione di una festa nella mia comunità parrocchiale ho cercato di svolgere al meglio il mio compito di collaboratore. E, come in tante altre occasioni, pensavo che la collaborazione fosse riconosciuta da chi come me aveva portato il proprio contributo alla buona riuscita della festa (e questo in occasione di un pranzo di riconoscenza).
Tutto era pronto, compreso i posti assegnati anche a noi che avevamo lavorato per tutta la festa. Ma diversamente da quello che potevo pensare, il mio posto non era stato previsto insieme a quello dei collaboratori. Questo fu la goccia che fece traboccare il vaso, tanto che pensai di non ritenere più amici, prima che collaboratori, chi in quella occasione non si era ricordato di me. Crollava così la mia idea di amicizia e, quanto accaduto, metteva in forte discussione l’idea che avevo circa l’importanza del mio contributo alla buona riuscita delle iniziative della mia comunità. Così pian piano svanivano l’interesse, l’entusiasmo e perfino quel naturale senso di amicizia verso chi mi aveva deluso.
Però, per un cristiano il perdono è un atto di generosità verso se stessi e verso chi ci ha offeso. Per queste ragioni pur avendo atteso diversi mesi, nelle festività ho colto l’occasione per ritornare ad essere me stesso ed accettare che anche gli altri possono sbagliare o restare semplicemente indifferenti ai segnali di disagio che si possono esternare in casi come questo.
Per me quello scambio di auguri è stato ciò che mi ha “donato” un nuovo modo di intendere la comunità cristiana e chi le appartiene.
M.F.
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