9 maggio 2021 – 6a di Pasqua
At 10,25-26.34-35.44-48 / 1GV 4,7-10 / Gv 15,9-17
Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri (Gv 15,17)
Non è difficile trovare la parola-chiave della liturgia di questa domenica: amore. Ma che cosa significa amore? Ci sono infatti molti modi che sono qualificati col termine “amore” ed essi spaziano dall’avidità alla gratuità, dalla ricerca del piacere al dono della vita, “dall’amore di sé fino al disprezzo di Dio, all’amore di Dio fino al disprezzo di sé” (sant’Agostino).
Il vangelo che ascolteremo oggi è focalizzato sul “come” dell’amore, ponendo al centro della nostra riflessione l’unico comandamento di Gesù “Che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati” (v 12). E l’evangelista ce lo ripete due volte. La consegna che Gesù lascia ai suoi è “precisa”: parla di un amore senza condizioni e senza limiti. È un amore mai passivo, fatto di rispetto, servizio, affetto disinteressato, che non domanda di essere ricambiato; è l’empatia che ci porta ad uscire da noi stessi per “sentire” con l’altro e nell’altro.
Il vescovo Tonino Bello diceva che l’amore è voce del verbo morire: “significa decentrarsi. Uscire da sé. Dare senza chiedere. Essere discreti al limite del silenzio. Soffrire per far cadere le squame dell’egoismo. Togliersi di mezzo quando si rischia di compromettere la pace di una casa. Desiderare la felicità dell’altro. Rispettare il suo destino. E scomparire quando ci si accorge di turbare la sua missione”.
L’evangelista Giovanni traccia il percorso dell’amore: l’amore del Padre per il Figlio (v 9), l’amore di Gesù per i discepoli (vv 9 e 12), l’amore reciproco fra i credenti (vv 12 e 17). L’uno trova nell’altro la sua sorgente e la sua misura. La relazione del Padre con il Figlio diviene modello dei rapporti. Come la relazione nella Trinità è fondata nell’amore, così la comunità dei discepoli è costruita dall’amore. L’amore è la sola legge. È un amore reso concreto nel “lavarsi i piedi a vicenda”, nel perdono e nell’accoglienza incondizionata.
SENZA FUTURO?
Vedovo, con un figlio solo, vivevo per lui. Un terribile incidente me lo portò via. Mi sembrò di impazzire. Avrei voluto morire. Un giorno, mentre stavo uscendo dal condominio dove abito, sentii un tonfo e un grido: un vecchietto che camminava con le stampelle era caduto per le scale. Accorsi da lui e gli rimasi accanto finché non arrivò l’ambulanza. Anche lui era solo, così cominciai a prendermene cura andando ogni giorno a trovarlo in ospedale e prestandomi a qualche richiesta. Quando fece ritorno a casa eravamo già talmente affiatati che fu normale continuare a darci una mano.
Mi era sembrato di non avere un futuro, ma da allora ricominciai ad esistere
G.B. - Spagna
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