19 aprile 2020 - 2a di PASQUA della Divina Misericordia
Atti 2,42-47 / 1Pietro 1,3-9 / Giovanni 20,19-31
I discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20,20)
Il vangelo di oggi rivolge a tutti coloro che lo accolgono lo stesso saluto che il Risorto ha rivolto ai suoi discepoli: “Pace a voi”. Gesù ci indica così l’effetto della salvezza da lui donata: la relazione riconciliata con se stessi e con gli altri è il vero dono di Gesù Risorto. Siamo ancora nel primo giorno della nuova settimana. In esso l’evangelista ci aiuta a cogliere la nuova nascita dei discepoli di Gesù, visti non come singoli, ma come membri di una comunità. Gesù infatti viene e sta “in mezzo”.
Intanto i discepoli, nonostante già abbiamo ricevuto l’annuncio della risurrezione di Gesù, portato loro da Maria di Magdala, sono ancora nel buio dell’incredulità, come traspare dal fatto che è nuovamente scesa su di loro la sera, il buio. Alla mancanza di fede si associa la paura, che li porta a rinchiudersi, a isolarsi dal mondo, che guardano con sospetto, con diffidenza. Essi non pensano, in quel momento, che “Dio ha tanto amato il mondo da donare il Figlio unigenito proprio perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,16). Per Gesù, però, non vi sono porte chiuse che lo possano trattenere, non vi sono ostacoli che gli impediscano di stare in mezzo ai suoi. E quando essi scorgono i segni gloriosi, che attestano l’estremo dono di amore del Signore Gesù, gioiscono. Essi possono capire che la morte di Gesù è la rivelazione di Dio, che per amore dell’umanità ha donato il proprio Figlio, l’amato.
Quante occasioni abbiamo nelle nostre giornate, di “vedere” Gesù presente accanto a noi e in mezzo a noi, uniti nel suo amore. Sì, in questa settimana, cerchiamo di vivere attenti alla sua presenza.
OCCASIONI DI “VEDERE” GESÙ
Anni fa, a Grottaferrata, ho partecipato ad un corso per seminaristi e sacerdoti. In quell’occasione ho conosciuto un seminarista di cui tutto mi dava fastidio: modo di vestire, di muoversi, di parlare, di ragionare... ma per coerenza a ciò che stava dando senso alla mia vita ho cercato di non giudicarlo. Finito quel periodo di formazione, sono rientrato in Argentina.
Anni dopo ho avuto l’opportunità di tornare in Italia per partecipare a un altro congresso. Era l’epoca degli attentati delle Brigate Rosse, per cui ho trovato una Roma diversa da quella che avevo conosciuto. Era mezzanotte e per motivi di sicurezza la stazione ferroviaria era già chiusa e il servizio pubblico di autobus e taxi fermo. Così mi sono trovato per strada, al freddo (era pieno inverno), con due valigie, senza i soldi italiani per pagare un albergo e senza sapere come fare per arrivare là dove avrei dovuto alloggiare, nei dintorni della capitale.
Allarmato di fronte alla possibilità di una notte all’aperto, ho visto avvicinarmisi una persona. “Vedrai che si tratta di un taxi abusivo”, ho pensato, deciso a lasciar perdere. E infatti: “Taxi, signore?”. Stavo per rispondere negativamente, quando l’autista ha pronunciato il mio nome: “Cosa ci fai qui? Non mi riconosci?”. Veramente non lo riconoscevo, tanto era cambiato, e anche perché indossava un colbacco per ripararsi dal freddo. Era proprio quel seminarista! “Ho lasciato il seminario - mi dice -, sto finendo l’università e mi arrangio di notte con questo lavoro”. Dopo esserci abbracciati, gli ho raccontato in quale situazione mi trovavo. “E vuoi che ti lasci in mezzo alla strada? Vieni con me, ti porto gratis!”.
Il viaggio è stato un’ora piacevolissima, come tra vecchi amici. Arrivati a destinazione, chi mi ospitava ha voluto a tutti i costi pagare il mio amico. Era una cifra superiore a quella che avrebbe guadagnato per un servizio simile.
E. C. - Argentina
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